Sta avendo un grande successo la nostra campagna “Ecoporti 2020” promossa dalla nostra associazione Medplastic, con cui stiamo censendo tutti i porti italiani e non solo alla ricerca di quelli che davvero hanno a cuore l’ambiente. Che cosa significa “ecosostenibilità”, quando si parla di strutture portuali? Per spiegarlo c’è bisogno di un buon esempio. Come quello di Marina di Cala de’ Medici (situata tra Castiglioncello e Rosignano Marittimo), che da tempo investe su soluzioni “green” e su ricerca e sviluppo: ne abbiamo parlato con l’AD e direttore del porto Matteo Italo Ratti.
Cosa può fare un porto per diventare “eco”?
“Innanzitutto aumentare il proprio ‘peso specifico’ per orientare le decisioni delle istituzioni, a cui spetta riconoscere e incentivare il lavoro dei marina in termini di ricerca e sviluppo sostenibile. Come fare? Guardando oltre il proprio ‘orticello’: noi abbiamo costituito un Consorzio con il Marina di Salivoli, il Porto di Viareggio, il Porto della Chiusa e Rio Marina (Marine della Toscana, ndr). E’ l’unico strumento giuridico, quello consortile, per fare davvero rete e disporre di mezzi economici per investire in sostenibilità”.
Scendiamo più nello specifico…
“Partiamo da uno studio che il Marina Cala de’ Medici ha commissionato e che è lieto di condividere con le strutture del consorzio: si chiama M.O.S.E. ed è una colonnina “intelligente” ultrasofisticata (dispone anche di connessione internet). Entro il 31 dicembre 2019 entrerà in azione il primo prototipo. La colonnina non si occupa soltanto di erogare e conteggiare la corrente, ma anche di razionalizzazione. Se la barca ormeggiata collegata alla colonnina non ha più bisogno di corrente, questa non viene più erogata. Risparmiando così i watt che venivano erogati inutilmente dalla colonnina tradizionale se rimaneva il cavo della 220. Se moltiplichiamo i pochi W per tutte le barche ormeggiate in un porto, il risparmio è notevole! La colonnina non si occupa soltanto di razionalizzare l’energia elettrica, ma è anti-spreco anche quando si tratta dell’erogazione di acqua, modulando la pressione in modo intelligente. Se uno si fa la doccia in banchina con la manichetta al massimo, dopo due minuti si blocca: idem quando si decide di lavare la barca. Più pressione, meno durata”.
Un porto arriva a spendere anche il 25% del proprio fatturato in manutenzione. Avete lavorato in chiave “green” anche sotto questo aspetto?
“Assolutamente si. Mi lasci fare qualche esempio: le banchine di cemento armato, che prima erano ricoperte da una protezione di legno Iroko, deteriorabile e deteriorato, ora sono rivestite di una gomma ricavata da pneumatici riciclati al 100%. Dura di più, costa meno rispetto al legno ed è perfettamente ecologica. I pontili in legno li trattiamo con impregnanti il più possibile “green”, come le vernici all’acqua.
Stiamo poi provvedendo a sostituire le fioriere in finto coccio (leggi: di plastica) sulle nostre banchine con dei vasi in cemento impastato con fibre di vetroresina riciclata. Ne abbiamo già sostituiti un quarto e in pochi anni addio vasi di plastica”.
Ritorniamo sul risparmio energetico.
“Un’operazione importante che abbiamo concluso – e della quale recupereremo i costi in circa 15 anni – è il passaggio integrale al LED per quanto riguarda l’illuminazione portuale. Non è stato semplice: provi lei a cambiare 5.000 lampadine in giro per il porto, dagli uffici alle colonnine!”.
Siete tra i pochi porti italiani ad avere installato il cestino mangiarifiuti Seabin…
“Un dispositivo senz’altro utile che, se installato bene studiando le correnti del porto, cattura plastica e rifiuti galleggianti. Ma per far sì che la sua efficacia sia consistente in ogni porto dovrebbero essercene almeno 50: e qui torniamo al ruolo importante delle istituzioni. Senza il loro ‘sigillo’ e gli ecoincentivi, i costi di queste soluzioni restano alti e la loro diffusione limitata”.
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